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20 Ottobre, 2019

New York Storie

Williamsburg, Wythe Hotel

Harry ha 40 anni e fa il fotoreporter.

Ha l’aria di chi è in viaggio da sempre e per sempre. Lo incontro al bar sul tetto del Wythe Hotel a Williamsburg, Brooklyn. Ha vissuto per 11 anni a Washington e altri 5 a New York, prima di iniziare un viaggio senza sosta. Giappone, Portogallo, Italia, Congo, Argentina…

Ora fa base a Seoul, ma ogni tanto torna a “casa” negli USA. Di fianco a lui mi sento una piccola ragazza di campagna che non sa ancora nulla del mondo.

Prima di salire al rooftop bar del Wythe e prendere due bottiglie di birra scura della Brooklyn Brewery, facciamo un giro al Brooklyn Flea Market. Cerca una mappa antica di New York, ma esce a mani vuote.


Non gli piacciono i newyorkesi e non gli piace Brooklyn. Un po’ mi maledice per averlo costretto a venire fino a Williamsburg, dove non viene da anni “perché la Linea L della metro è terribile, sempre rotta o in ritardo”.


Dice che a Washington (che lui chiama semplicemente “D.C.”) le persone sono molto più amichevoli e cordiali. “A New York City sono tutti di corsa, nessuno fa caso a nessuno”.


Non sono d’accordo. Mi capita di ricevere più sorrisi qui che nella mia cittadina della Pianura Padana – gli spiego – dove succede che persone che sono state in classe con me nemmeno mi salutino, mentre qui attacco bottone in metropolitana, per strada, al bar. In edicola una signora si è offerta di aiutarmi a trovare un “news stand” che potesse avere l’apparentemente introvabile New Yorker.

Un uomo che portava a spasso il suo cane nell’Upper West Side mi ha mostrato tutta la sua comprensione mentre cercavo goffamente di acchiappare il bagel che mi era scivolato dalle mani prima che si schiantasse sul marciapiede della Broadway lasciandomi senza pranzo. “Eat & run. Typical newyorker meal”, mi dice. Il suo sorriso è aperto, leggero.
Harry, però, è inamovibile. Non scambierebbe D.C. con New York City per nulla al mondo.


Poi, però, mentre in metropolitana torniamo a Union Square, si scioglie. Di fronte a noi una donna piange. Una volta ho sentito che finché non piangi in metropolitana non sei un vero newyorkese, gli dico. “Qui non è strano vedere persone piangere in pubblico. – risponde – A New York è considerato normale mostrare i propri sentimenti. Una volta ho visto tre persone piangere insieme a Central Park. È stato bellissimo”.


“Actually New York is warmhearted”, aggiunge. E non c’è una traduzione esatta, ma è questo uno dei tanti motivi per cui amo questa città.

[ New York, Williamsburg, Wythe Hotel ]