New York Storie

Olga e gli uomini (Discorsi tra ragazze a New York

Ci sono un’italiana e una russa che mangiano in un ristorante malese a Chelsea, New York. Di cosa possono parlare? Di uomini, ovviamente!


Il Laut, sulla 17th Street, è un ottimo ristorante ma ci è toccato un pessimo tavolo, proprio al centro della minuscola sala, dove rimbombano le voci degli altri clienti e dobbiamo quasi urlare per sentirci.


“Dovrò iniziare ad andare in palestra”, mi dice Olga mentre ci buttiamo sui nostri noodles pao thai piccanti con gamberi.


“Non dirlo a me – le rispondo – Sto mangiando da schifo da quando sono a New York. Non mi peso per vigliaccheria”.
“Ma va, sei magrissima! Guarda me invece”.
“Che dici? Sei uno stecchino!”.


Olga è la tipica russa. Alta, bionda, zigomi larghissimi, sguardo glaciale. E’ un ingegnere chimico, ma lavora solo sei mesi all’anno e negli altri sei si sposta di volta in volta in una città diversa. Ultimamente era a Rio de Janeiro. Ora è il turno di New York.


“Non c’è nessun posto in cui ti senti a casa?”, le chiedo.
“In tutti – mi dice lei – Però dopo un po’ non mi ci sento più e allora devo cambiare”.
“E le persone che incontri? Gli amici? Non ti mancano quando ti sposti?”
“Sì, ma poi ne trovo altri. Alla fine sto bene da sola”.
Penso che sarò un’altra amica usa-e-getta.


Olga è single da molto. Non ha ancora trovato un uomo che abbia tutto ciò che vuole.
“I tedeschi sono noiosi. I brasiliani infedeli. I russi? Bah, non parliamone nemmeno!”.
“Forse i marziani”, suggerisco.


“I peggiori sono i latini. I vostri uomini si comportano da “pussy” (letteralmente “fighette”). Piangono e basta. Sono troppo emotivi”.
“Eh”.


“E poi parlano, parlano, parlano… Non dirmi che vuoi darmi la luna: dammela e basta. Altrimenti, se poi non me la dai, io non ti rispetto più, prendo le mie cose e me ne vado”.
Invidio la sua fermezza.


Siamo così prese dai nostri discorsi che quando Laut sta per chiudere, ci spostiamo alla porta accanto al Lillie’s, un bar elegante in stile vittoriano lungo e stretto, con un allestimento pre-Halloween pazzesco: una dozzina di scheletri che sembrano scalare la vetrina e le pareti esterne e un’enorme finta ragnatela che percorre tutto il soffitto.

Ci sediamo al bancone e ordiniamo due gin tonic. Di fianco a noi tre ragazzi ancora in giacca e cravatta cenano con degli hamburger dall’aria molto chic e guardano i New England Patriots stracciare i New York Jets 33 a zero.


“Non ho bisogno di amare un uomo. – dice Olga – Ho bisogno che lui ami me, questo sì. Io ho solo bisogno di essergli grata. Alla fine, non ho proprio bisogno di un uomo. A che mi serve?”.
“Scusa, ma il sesso?”
“Ok, allora diciamo che non ho bisogno di una relazione”.
“Ma non ti manca mai dormire con qualcuno, svegliarti con qualcuno, condividere le piccole cose?”.
Resta in silenzio per un po’.
“Vorresti dei figli?”, le chiedo.
“Sì. Ma al massimo congelo le uova”.
“Cosa???”
“Ma sì, congelo le uova!”.
Scoppiamo a ridere.


I nostri bicchieri sono vuoti e si è fatto tardi. Ci salutiamo a Union Square. Lei torna a nord di Manhattan, io a Brooklyn.


Sono così assorta nei miei pensieri che nemmeno mi sono accorta di aver strisciato la MetroCard ai tornelli ed essere arrivata fino al binario della linea 4 in partenza verso Downtown.

[ New York, Laut Malaysian Restaurant / Lillie’s Victorian ]

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