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Visita all’Università di Harvard

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Non vorrei sembrare una secchiona, ma mi è sempre piaciuto studiare.
Soprattutto all’università. Tante persone che conosco ricordano quel periodo come un incubo. Per me è stato uno dei più belli della mia vita.

Certo, c’erano le feste, i nuovi amici e soprattutto quella sensazione di libertà assoluta che sperimenta lo studente fuori sede, per la prima volta lontano da casa, senza che i genitori possano supervisionare e criticare gli orari indecenti in cui torni a casa, perché non hai rifatto il letto o le tue cene poco salutari a base di toast e gelato.

Ma mi piaceva anche e soprattutto studiare. Ogni giorno scoprivo qualcosa di nuovo sulle vite dei miei pittori preferiti e su come erano nati i loro quadri, oppure qualcuna delle follie compiute dagli autori dei libri e delle poesie che avevo amato. Alcune delle cose che ho imparato all’università mi sono servite nella vita. La stragrande maggioranza no.

Ma all’università era bello imparare e basta. Anche senza sapere se ne avresti tratto un vantaggio concreto, se avrebbe prodotto profitto, se ne avresti ricavato un risultato tangibile. Era bello imparare per il semplice piacere di scoprire qualcosa che prima non sapevi.

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Sono andata a visitare l’università di Harvard perché ha generato tante nuove idee e pensiero illuminato da modificare persino le dinamiche internazionali e il corso della storia. Ad Harvard si sono laureati sei presidenti americani, tra cui John Fitzgerald Kennedy, e grandi scrittori come Henry James.

Certo, non tutti quelli che frequentano Harvard sono dei geni. Non lo è di certo lo studente asiatico a cui ho chiesto indicazioni alla biglietteria automatica della subway di Boston, che mi ha guardata sbigottito senza riuscire a rispondere alla mia semplice domanda: “Per andare ad Harvard va bene un normale biglietto della metro o serve un biglietto diverso?”.

Eppure il barbone di fianco ha capito perfettamente quello che volevo sapere e, oltre a confermarmi che basta un comune biglietto della metropolitana, ha aggiunto che dal centro di Boston, stazione Park Street, dovevo fare 4 fermate della linea rossa e sarei arrivata in meno di 20 minuti.

Harvard si trova in un sobborgo a pochi chilometri da Boston che si chiama Cambridge, il che può generare un po’ di confusione con un altro famoso ateneo. Questa località, infatti, è stata chiamata così proprio in omaggio all’università di Cambridge in Inghilterra perché molti dei primi professori che hanno insegnato ad Harvard si erano formati lì.

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Quando visito il campus è sabato pomeriggio e non c’è lezione. Alcuni degli studenti studiano alla scrivania nelle loro camerette singole, con le finestre affacciate sulla strada principale, su cui passano pochissime auto.

Gli altri sono ammassati nei pochi caffè di questa minuscola cittadina, come il Tatte, dove i ragazzi con computer e bicchierone di caffè sono ancora di più di quelli che vedo nei bar neyorkesi.

Oppure nell’Harvard Book Store, la storica libreria aperta nel 1932, dove si possono trovare più o meno tutti i titoli pubblicati da professori ed ex studenti illustri dell’ateneo e, al piano interrato, un’interessantissima collezione di libri usati, che infatti è la parte più visitata.

Altri studenti li incontro al gift shop, mentre acquistano insieme a mamme, papà e fratelli in visita felpe, tazze e gagliardetti con lo stemma dell’università.

Il campus, circondato da un cancello, ha l’aria di un luogo quieto e riflessivo. La maggior parte degli edifici sono solidi blocchi in mattoni rossi, circondati da prati e alberi. Ospitano le aule, gli uffici dei professori, con le scrivanie disordinate cariche di fogli e libri, e i dormitori degli studenti.

Si distinguono la cappella del campus, la grande biblioteca circondata da un imponente colonnato bianco come un tempio greco e la magnifica Memorial Hall, una struttura che ricorda una cattedrale gotica, ma mixando vari stili: le facciate sono in mattoni rossi, il tetto a fasce colorate e la torre principale ricorda una pagoda cinese.

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All’interno del campus si trova anche la celebre statua di John Harvard. Che però non è John Harvard. Questa, infatti, è una delle informazioni sbagliate riportate da questa che è soprannominata “la statua delle tre bugie”. La prima, appunto, è che il volto dell’uomo ritratto non è quello di Harvard, ma semplicemente di qualcuno che ha fatto da modello allo scultore. La seconda falsa informazione è che Harvard fosse il fondatore dell’università, mentre era soltanto un donatore. E nemmeno l’anno di fondazione è corretto: è il 1636, non il 1638.

Dubito che le cinque ragazze giapponesi vestite come un manga siano a conoscenza di tutte queste informazioni, mentre si scattano centinaia di foto insieme al falso John Harvard tra mille risatine.

Di sicuro sono convinte di un’altra curiosità che riguarda questa statua: che basti strofinargli il piede sinistro per avere fortuna e successo. Ma ho il sospetto che anche questa sia una bugia.

photo credits: ©SerenaMarchini

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